
L’INTERPRETE E LA CULTURA DELL’ORATORE STRANIERO: QUANDO LA GRAMMATICA E LA SINTASSI NON SONO SUFFICIENTI.
Molte volte il mestiere dell’interprete di trattativa viene sminuito e considerato come un’attività che chiunque con un minimo di conoscenze linguistiche è in grado di svolgere. Se è vero che da un lato lo sforzo cognitivo richiesto è ben diverso da quello dell’interpretariato simultaneo dove si fanno almeno tre cose contemporaneamente, dall’altro ci sono degli aspetti fondamentali che vanno al di là della conoscenza terminologica e grammaticale, primo fra tutti la cultura dell’interlocutore straniero.
La scorsa settimana ho lavorato come interprete per un professionista indiano e mai come in questa occasione mi sono resa conto di quanto sia essenziale documentarsi e scoprire quali sono i tratti principali della cultura indiana nell’ambito di una negoziazione commerciale.
Innanzitutto non bisogna dare per scontato che il programma della giornata, magari concordato precedentemente, venga rispettato; se uno dei punti da discutere richiede più tempo del necessario a discapito degli altri o se emerge un’idea potenzialmente interessante da valutare, pazienza se si dovranno cambiare i piani per la giornata: massima flessibilità è la parola d’ordine!
In secondo luogo, è utile sapere che la comunicazione non verbale ha un significato particolare per gli indiani e che a un diniego o a un rifiuto espresso direttamente a parole, si preferisce comunicare le proprie intenzioni attraverso un irrigidimento della postura o un’espressione facciale.
Inoltre è buona norma stimolare le domande per assicurarsi di aver capito bene, dato che il modo di esprimersi non è sempre così chiaro.
Basti pensare che per manifestare assenso scuotono leggermente la testa come facciamo noi italiani quando non siamo proprio convinti di qualcosa e questo può provocare non poca confusione se non lo si sa.
Infine ho notato la tendenza a fare domande anche molto personali sulla famiglia (se si ha un marito e figli soprattutto) sin dal primo incontro; è chiaro che per una cultura come quella italiana ad esempio, toccare simili argomenti dopo aver stretto la mano a uno sconosciuto può essere considerato invadente o di poco tatto se si arriva culturalmente impreparati.
Le considerazioni fatte finora si basano sulla mia esperienza personale e sono il frutto delle mie osservazioni e proprio per questo ho deciso di approfondire la questione e di leggere un testo interessante su ciò che bisogna sapere quando si intrattengono rapporti di natura professionale con gli indiani. (Il titolo del libro è Fare Business in India. Una guida per la Piccola e Media Impresa di Stefano Martello e Sergio Zicari).
Devo dire che ho trovato conferma di diverse impressioni che mi ero fatta durante il lavoro e allo stesso tempo ho imparato informazioni nuove che sarebbe troppo lungo elencare in questa sede.
Ne consiglio la lettura soprattutto a chi voglia avviare un’attività in India o semplicemente desideri conoscere meglio questa cultura millenaria e per molti versi distante dalla nostra.
E ovviamente sarei ben contenta di sentire l’opinione di chi magari lavora già da anni con partner indiani.