
QUANDO LA NEUTRALITÀ È UN VANTAGGIO
“Bisogna prendere una posizione, o stai con noi o con loro”.
Quante volte abbiamo sentito o pronunciato questa frase in situazioni in cui astenersi non è contemplato o se lo è, viene considerato un atteggiamento poco appropriato.
Tuttavia, tra i mestieri in cui la neutralità è sia un pregio che un vantaggio, c’è sicuramente quello dell’interprete.
Un interprete professionista ha il dovere di tradurre fedelmente e senza omissioni quanto proferito dai partecipanti a una trattativa commerciale o una conferenza, sia che si tratti del suo committente (in altre parole, chi paga il suo compenso) che del cliente, collega o fornitore dello stesso.
A questo proposito, ricordo un paio di conversazioni intrattenute una con un potenziale cliente che non ha accettato il mio preventivo, la seconda con un cliente americano con cui collaboro ormai da qualche anno.
Nel primo caso, avrei dovuto tradurre gli incontri commerciali tra il potenziale cliente italiano e le controparti inglesi e spagnole al fine di stringere una serie di accordi di fornitura; in fase di negoziazione del preventivo, il possibile futuro cliente italiano mi disse che avrebbe fatto affidamento su una risorsa interna dell’azienda perché per lui la cosa più importante era che l’interprete fosse “dalla sua parte” e che concludesse un affare che beneficiasse soprattutto l’azienda italiana.
Ovviamente io potevo garantirgli una trasmissione fedele dei contenuti delle conversazioni, ma non potevo e non volevo “schierarmi” con l’azienda italiana solo perché ingaggiata dalla stessa.
Questo episodio mi è tornato in mente qualche settimana fa, quando il cliente americano con cui collaboro da un po’ di tempo mi ha contattata per il Consiglio di Amministrazione annuale della sua azienda e mi ha detto: “So benissimo che anche un paio di membri italiani del Board potrebbero fungere da interpreti durante le nostre riunioni, ma io voglio che ci sia un’interprete professionista e neutrale, in grado di tradurre i nostri scambi di parole senza censurare informazioni o smorzare i toni per raggiungere secondi fini”.
Avrei voluto aggiungere che benché i membri italiani del Board padroneggiassero entrambe le lingue, questo non faceva di loro degli interpreti, poiché sono necessarie altre tecniche e competenze oltre a quelle linguistiche, ma non è questo il tema su cui voglio soffermarmi adesso.
L’approccio è stato diverso da quello del primo caso e questo mi ha portato alla seguente riflessione: il fatto che un interprete non sia un lavoratore dipendente di un’azienda e dunque “esterno” va considerato come un vantaggio in moltissime situazioni e non come un punto debole.
E voi? Cosa ne pensate?